Bologna, 12 settembre 2012
Agli studenti, alle famiglie ed al personale della scuola
e dell’amministrazione scolastica dell’Emilia-Romagna
Nel saluto di apertura dello scorso anno scolastico mi sono soffermato sul nostro “esserci” come educatori. Essere presenti con il cuore e con la mente. Attenti verso ciascun ragazzo, soprattutto nei momenti difficili che ciascuno di loro vive.
Mai avrei immaginato di aprire questo anno 2012-2013 con quasi duecento plessi scolastici danneggiati dal terremoto. Molte migliaia di alunni, centinaia di docenti e decine di dirigenti scolastici che opereranno in condizioni almeno inizialmente complesse. Tanti paesi distrutti, il patrimonio storico artistico gravemente lesionato se non abbattuto, il tessuto produttivo danneggiato nelle sue parti più vitali e prospere.
I danni immensi causati da questo terremoto – per le strutture scolastiche e produttive assai più grave di quello dell’Aquila anche se, fortunatamente, con un numero minore di vittime – arrivano per di più in un momento di forte contrazione di risorse e di rimodellamento dell’intera “macchina” dell’amministrazione statale e degli enti locali.
Il terremoto, evento ancora più sconvolgente in questo tempo di crisi, transizione, trasformazione. Un tempo che avrebbe comunque richiesto, anche senza il terremoto, il grande impegno di tutti per identificare e sostenere l’essenziale in ciascuna cosa. Imparando a rinunciare al non essenziale, anche se esso fa parte dell’immagine “agiata” che avevamo di noi stessi.
Un tempo quindi per molti aspetti duro, spigoloso, arduo. In cui le capacità di far fronte in modo concreto a problemi concreti devono prendere il sopravvento su costruzioni puramente mediatiche e illusorie di un mondo che non esiste (e non esisteva neppure prima).
Siamo chiamati a vivere questo nostro tempo, il tempo che ci è dato, non come maledizione ma con lo sguardo degli educatori. Cioè come coloro che sono chiamati alla speranza, a radicare i giovani nella realtà data, quale che sia, per costruire il loro futuro.
Se il nostro compito è “esserci”, essere presenti accanto ai nostri ragazzi, questo tempo difficile soprattutto per la nostra terra ci impone come dobbiamo esserci. Per essere aiutati a capire “come esserci” possiamo volgere lo sguardo a testimoni, come il poeta Davide Maria Turoldo che ha incentrato la sua opera nel coniugare tempi difficili e speranza, nell’osare la speranza proprio quando “la memoria è seminata di rovine delle cose amate”.
Questa è una terra forte anche quando trema ed è forte la sua gente. Nella complessità di questo presente ci troviamo più forti di quanto pensavamo. Credo anche scopriremo che i nostri giovani, che ci paiono a volte “leggeri” e privi di responsabilità, sapranno essere molto più costruttivi e determinati di quanto pensiamo; certamente molto più di quanto sarebbero stati se i tempi facili e falsi dell’illusione fossero ancora durati.
Ero piccolo ai tempi dell’alluvione di Firenze, ma ricordo amici più grandi che negli anni successivi raccontarono lo stupore di quello che si vide. Si vide una generazione di giovani buttarsi nel fango a spalare venendo da ogni dove senza neppure essere stati chiamati. Eppure era una generazione di cui si diceva che fosse persa nella fumosità di figli dei fiori e del disimpegno.
Così sarà per i giovani del terremoto che – adesso che i muri della scuola non ci sono più – improvvisamente sentono di volere la scuola, magari quella in cui andavano mugugnando al mattino. Perché la scuola è parte di una realtà che uno ritiene immutabile (e che perciò può anche essere messa in discussione e venire a noia). Poi la notte in cui tutto cade, la si ricerca, la si rivuole. Si desidera la propria scuola: sotto una tenda, in un prefabbricato, magari. Si rivuole la propria scuola perché si vuole ricominciare a vivere, si vuole il proprio futuro.
Tocca a noi fare di tutto perché i nostri ragazzi possano in questo anno scolastico che inizia riavere la scuola come tassello ineliminabile della loro vita.
Ho incontrato i Dirigenti Scolastici delle scuole terremotate, ho ascoltato le loro parole e letto le loro comunicazioni. Rimarco la fermezza, l’impegno e la forza che hanno dimostrato e stanno dimostrando, a prova che è nei tempi duri che le persone attingono alle risorse più profonde e preziose. Tanti insegnanti hanno lavorato volontariamente nei campi per aiutare i bambini e i ragazzi, elaborando il lutto e contrastando la paura nel fare concreto e non nella lamentazione sterile e arresa. Sono tornati a scuola e sarà Scuola, perché in qualunque luogo in cui essi insegneranno la scuola sarà.
La scuola è fatta di persone che donano quello che sono mentre trasmettono quello che sanno. Giovanni Reale, scrivendo dell’arte di Riccardo Muti e della Musa platonica, osservava che si possono possedere tutte le conoscenze e abilità tecniche, eppure si può rimanere freddi, lasciando l’altro senza emozioni spirituali di rilievo.
Occorre qualcosa di più della pur necessaria competenza disciplinare. Platone nel Fedro segnala la necessità di appropriata connessione delle cose collegate fra loro e con il tutto. E ne La Repubblica aggiunge la necessità dell’amore per il bello. E’ il compito del docente, di qualsiasi ordine e grado di scuola, in qualsiasi luogo.
Perciò anche nel resto della regione, in cui i muri sono in piedi e saldi, sono certo che la volontà di rigenerare un nuovo futuro in questi tempi difficili saprà essere il filo conduttore dell’azione di tutta la comunità educante.
Il mio saluto alle scuole e agli insegnanti, agli allievi ed alle loro famiglie, ai dirigenti scolastici ed al personale delle segreterie come pure al personale degli uffici dell’amministrazione del Ministero parte dalla certezza nella speranza per il bene dei nostri figli, dei nostri allievi, del nuovo futuro che essi rappresentano.
Stefano Versari
Vice Direttore Generale
Ufficio Scolastico Regionale
per l’Emilia-Romagna